Il sovraindebitamento familiare: un approfondimento

La miniriforma natalizia ha introdotto le procedure familiari inserendo l’art. 7 bis nella L. 3/2012. Vi possono accedere i membri della stessa famiglia se conviventi o se il sovraindebitamento ha una radice comune. Non è immediato, tuttavia, comprendere cosa succeda se non vi sia un coordinamento tra i membri dello stesso nucleo e ciascuno intraprenda la sua strada senza informare gli altri.

È, poi, possibile un ricorso congiunto eterogeneo, nel quale ciascun membro possa accedere a una procedura diversa?

Le procedure del sovraindebitamento familiare

Le procedure familiari rispondono a una logica di efficienza della risoluzione della crisi.

La definizione del dissesto di un solo membro della famiglia non è sufficiente a risolvere le difficoltà del debitore, perché questi dovrà comunque sostenere gli altri componenti del nucleo: pur non essendo soggetto di diritto, sovraindebitata è la famiglia e non il singolo suo membro.

Inoltre, i creditori beneficeranno di una procedura più snella, che, diversamente dalla soluzione a doppio binario, permette la vendita unitaria di beni in comunione indivisa, impiega una sola risorsa giurisdizionale, non permette veti incrociati possibili se vi siano più liquidatori giudiziali e più giudici a presidio del miglior soddisfacimento dei creditori di ogni singola massa.

La legge sul sovraindebitamento delle famiglie

Già prima dell’introduzione della legge di conversione del Decreto Ristori, era stata ammessa la possibilità di un sovraindebitamento familiare, con esiti incerti (Trib. Novara 25 luglio 2017 in senso parzialmente negativo, Trib. Milano 6 dicembre 2017 in senso ammissivo). A ben vedere, anche nel regime previgente, le procedure di gruppo sono state ammesse quando la tecnica redazionale del piano consentiva la distinzione delle masse, mentre laddove la proposta prevedesse la confusione dell’attivo e del passivo, la procedura è stata dichiarata inammissibile per violazione dell’art. 2740 c.c.

L’art. 7 bis della L. 3/2021 recepisce l’approdo più evoluto della giurisprudenza sul tema, ammettendo la possibilità (o forse l’obbligo) di introdurre ricorsi familiari, ma sempre con masse distinte.

Sovraindebitamento delle famiglie: le criticità

Un primo profilo di criticità riguarda la possibilità di intraprendere un’unica procedura qualora i ricorrenti risiedano nel circondario di due tribunali diversi.

Pare obbligatoria la strada del cumulo soggettivo per connessione oggettiva ex art. 40 c.p.c.: il giudice competente sarà scelto dalle parti tra quelli coincidenti con la residenza di uno dei ricorrenti, con il rischio evidente di forum shopping, che è insito nella L. 3/2012 anche per altri profili.

La soluzione è d’obbligo perché risulta coerente con la disposizione dell’art. 7 bis, comma 4, L. 3/2012, che dispone la competenza del giudice adito per primo in assenza di una scelta precisa dei ricorrenti di proporre un ricorso congiunto. Anche in questo caso la legge impone il coordinamento tra le procedure autonome, ordinando al giudice la riunione per connessione oggettiva del procedimento più giovane alla causa più risalente.

Del resto, nella situazione non dissimile del socio illimitatamente responsabile che partecipa in estensione alla procedura della società ex art. 14 ter, comma 7 bis, L. 3/2012, già una decisione ha optato per la riunione del sovraindebitamento della società con quello dell’accomandatario, richiamando la necessità di coordinare i procedimenti singolarmente proposti dai membri della stessa famiglia (si veda Trib. Ravenna 3 marzo 2021).

Un ulteriore profilo critico sorge dalla possibilità astratta di proporre procedure diverse per i membri della stessa famiglia. Una procedura familiare “eterogenea” è, infatti, già preclusa dalla stessa disposizione dell’art. 7 bis, ultimo comma, L. 3/2012: basta che uno solo dei debitori non sia consumatore perché il piano sia inibito e si debba applicare solo l’accordo di composizione della crisi.

Dalla disposizione si potrebbe ricavare il principio secondo il quale la procedura deve essere unica per tutti i ricorrenti, non potendosi applicare l’esdebitazione del debitore incapiente insieme con la liquidazione del patrimonio, solo per fare un esempio.

In effetti il ricorso a procedure eterogenee non risulterebbe agevole e potrebbe determinare difficoltà di coordinamento connesse ai beni da liquidare, agli effetti dell’esdebitazione o comunque della modificazione delle obbligazioni conseguenti all’omologa e dunque potrebbe non risolvere la causa del sovraindebitamento familiare, lasciando esposto un debitore al rischio che nella seconda diversa procedura non si giunga a un provvedimento di apertura o di omologa.

Si pensi ad esempio alla procedura familiare che contempli l’apertura di una liquidazione del patrimonio e di una esdebitazione dell’incapiente: il debitore che ha intrapreso la seconda procedura ottiene un effetto instabile dall’apertura, che potrebbe essere posto in discussione dai riparti successivi connessi alle utilità rilevanti pervenute successivamente per effetto delle sopravvenienze rilevanti ex art. 14 quaterdecies, primo e ultimo comma, L. 3/2012.

Ancora: l’accordo di composizione della crisi potrebbe subire l’alea del voto che la liquidazione del patrimonio non subisce, con il rischio che si possa aprire una sola procedura e l’altra non venga ammessa.

Saranno le prime applicazioni pratiche a consentire di meglio riflettere sull’ammissibilità della procedura familiare eterogenea e molto dipenderà dalla tecnica con la quale verranno confezionati i ricorsi congiunti. Maggiori possibilità di successo potranno forse avere i procedimenti che costruiranno i ricorsi in rapporto di reciproco condizionamento, così da evitare domande di ingresso di un solo debitore, che non potrebbero conseguire il risultato perseguito dal legislatore (di risolvere la crisi dell’intero nucleo familiare), esponendosi così a una critica di inammissibilità per la mancata aderenza alla fattispecie dell’art. 7 bis L. 3/2012.

Fabio Cesare