Erogazione dei buoni pasto e smart working: i poteri del datore di lavoro

1.Il lavoro agile 2. D.M. n. 122/2017 3. Erogazione dei buoni pasto e smart working

 

Abstract

Nel delicato momento storico che stiamo affrontando, il mondo del lavoro ha subito una notevole mutazione. La maggior parte dei lavoratori è ad oggi confinata a svolgere la prestazione lavorativa prevalentemente presso la propria abitazione, rendendo così necessario modellare i contratti di lavoro subordinato alle attuali esigenze.

Definizione di lavoro agile

L’art. 18 L. n. 81/2017 definisce il lavoro agile (cd. smart working) “quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro”.

Smart working: cosa dice la normativa

La normativa in esame pone l’accento sulla flessibilità che caratterizza lo smart working, non solo relativamente ai lavoratori privati, ma altresì ai dipendenti pubblici. Allo stesso modo, con luogo di lavoro non deve intendersi necessariamente l’abitazione del lavoratore, in quanto quest’ultimo potrebbe svolgere le proprie mansioni anche in luoghi differenti[1].

A tale particolare, ma più attuale che mai, modalità di lavoro sono apposte una serie, seppur ancor limitata, di tutele, tra cui la garanzia:

  • di un equo trattamento, in tema di trattamento economico (art. 20 L. n. 18/2017), conforme alle prescrizioni dei contratti collettivi di cui all’art. 51 D.Lgs n. 81/2015.
  • di avvalersi del diritto all’apprendimento permanente in modalità formali, non formali o informali, nonché alla periodica certificazione delle relative competenze.

E ancora, tra gli obblighi del datore di lavoro vi è quello di garantire la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la propria prestazione in smart working, con riconoscimento quindi del diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa, anche qualora svolta al di fuori dei locali aziendali.

Percezione dei buoni pasto in smart working: è un diritto?

Tra le previsioni attinenti al lavoro agile, ad oggi non risulta normato il diritto alla percezione dei buoni pasto. Questi ultimi, regolamentati dal Decreto Ministeriale n. 122/2017, consentono al titolare, cioè il lavoratore subordinato al quale sono riconosciuti, di usufruire di un servizio sostitutivo della mensa per un importo pari al valore del buono pasto ricevuto in esercizi convenzionati, quali quelli esercenti le attività individuate all’art. 3 del medesimo decreto. Essi svolgono dunque, la funzione di sostituire il servizio mensa in favore dei lavoratori subordinati, ai quali il datore di lavoro non possa offrire tale benefit. Non essendo poi, prevista alcuna limitazione, ai sensi dell’art. 4 i buoni pasto possono essere forniti a qualsiasi categoria di lavoratori subordinati che prestino la propria attività a tempo pieno, ovvero parziale (anche nell’ipotesi in cui l’orario di lavoro non preveda la pausa pranzo) e finanche a soggetti che abbiano instaurato un rapporto di collaborazione con il datore di lavoro di natura non subordinata.

Spetta dunque al datore di lavoro, sempre in conformità con i contratti collettivi nazionali, deciderne l’erogazione a favore di coloro che prestano la propria prestazione lavorativa.

L’attuale momento storico impone una riflessione in ordine alla facoltà dei datori di lavoro di decidere unilateralmente l’interruzione dell’erogazione dei buoni pasti ai lavoratori chiamati a svolgere l’attività lavorativa principalmente presso la propria abitazione, quale luogo in cui attualmente è stato prevalentemente confinato lo smart working proprio in ragione della situazione emergenziale legata all’epidemia del Covid-19.

Come anticipato, l’erogazione dei buoni pasto in tema di lavoro agile non ha, ad oggi, formato oggetto di regolamentazione; nemmeno in sede di normativa emergenziale è stato infatti statuito nulla al riguardo.

Dobbiamo quindi rilevare che la Suprema Corte di Cassazione, in tempi non sospetti, ha avuto modo di pronunciarsi in materia, statuendo che i buoni pasto non costituiscono un elemento “normale” della retribuzione; al contrario, ne ha riconosciuto il carattere meramente assistenziale, precisando che, nell’ipotesi in cui al medesimo non sia riconosciuto il servizio mensa dal datore di lavoro, la relativa “corresponsione è finalizzata a far sì che, nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, si possano conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore”. Poiché i medesimi non si configurano come un corrispettivo obbligatorio della prestazione lavorativa, la Corte ha altresì sottolineato che la relativa erogazione è vincolata anzitutto alla durata dell’orario di lavoro, nonché ovviamente ai contratti collettivi (cfr. Cass. Lav. Sent. n. 31137 del 28.11.2019).

Il Tribunale di Venezia, chiamato a pronunciarsi in tema di buoni pasto e smart working, con la sentenza n. 1069 del 8.7.2020 ha affermato che i buoni pasto, non avendo natura di retribuzione in senso stretto, né di un trattamento necessariamente derivante dalla prestazione di lavoro effettuata, si concretizzano piuttosto in un beneficio conseguente alle modalità concrete di organizzazione dell’orario di lavoro e non rientrano  pertanto nella nozione di trattamento economico e normativo, che deve essere garantito in ogni caso al lavoratore ai sensi del sopracitato art. 20 L. n. 81/2017; uniformandosi in tal senso all’orientamento della Suprema Corte[2].

Con una recente pronuncia, peraltro, la Suprema Corte ha ulteriormente ribadito il principio secondo cui i buoni pasto non siano considerabili elementi rientranti nel trattamento retributivo e, conseguentemente, come l’erogazione dei medesimi debba trovare fonte nella decisione unilaterale del datore di lavoro (cfr. Cass. Lav. Ord. n. 16135 del 28.7.2020).

Alla luce delle pronunce menzionate che si rifanno all’orientamento granitico della Corte di Cassazione, rilevatone il carattere occasionale, l’erogazione dei buoni pasto spetterebbe alla deliberazione unilaterale dei datori di lavoro; allo stesso modo, pertanto, viene riconosciuta in capo ai medesimi datori la facoltà di interromperne la corresponsione in ragione del venir meno del carattere assistenziale che in un’epoca differente ne giustificava l’erogazione.

 

Avv. Roberto Mangione

Dott.ssa Ilenia Enrica Daghetta

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[1] La varietà di luoghi nei quali può svolgersi l’attività lavorativa è ciò che distingue lo smart working dal telelavoro disciplinato dall’Accordo Interconfederale del 9.6.2004. Erroneamente spesso utilizzati come sinonimi, il telelavoro, quale ulteriore “forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro” è caratterizzata dalla stabilità del luogo designato per l’espletamento delle proprie mansioni da parte del lavoratore, che avviene al di fuori dei locali dell’impresa.

[2]Niente buoni pasto per il lavoratore in smart working”, in «Diritto e Giustizia», 19 agosto 2019, http://www.dirittoegiustizia.it/news/12/0000099761/Niente_buoni_pasto_per_il_lavoratore_in_smart_working.html?cnt=1